L’interesse verso la scuola è fortunatamente sempre molto vivo e genera confronti che assumono a volte toni accesi sulle diverse questioni che la investono. Ma come fare, in quale direzione muoversi, quali risorse utilizzare perché un dibattito vivace non diventi un esercizio di critica, privo di quella capacità generativa di soluzioni che è invece propria di un dialogo costruttivo?
Gli effetti della pandemia sugli apprendimenti sono stati tutt’altro che irrilevanti, come abbiamo avuto modo di dire in più occasioni confrontandoci con i dati delle Rilevazioni nazionali.
Ma come spesso accade, dalle crisi viene la spinta a mobilitare risorse nuove, intellettuali ma anche economiche e finanziarie. Ciò a patto che si assuma una prospettiva costruttiva, cioè che non ci si fermi a guardare gli aspetti più evidenti, quello che non va, ma ci si concentri nella ricerca delle soluzioni possibili, percorribili e sostenibili. È un modus operandi che richiede una certa dose di umiltà per non anteporre le posizioni personali, per quanto fondate e legittime, all’ascolto delle molteplici informazioni che i dati ci mettono a disposizione.
Lo abbiamo ribadito in più occasioni: certamente i dati non spiegano tutto e pensare che offrano di per sé soluzioni equivarrebbe a incorrere in una di quelle forme di miopia, antitetiche a un approccio propositivo ai problemi, che intendiamo evitare.
Analizzare e comprendere i dati apre invece la strada – anzi più strade – per individuare le possibili strategie che si possono applicare in un certo contesto, tenendo conto dei fattori che gli appartengono e lo caratterizzano, in termini di ostacoli ma anche di risorse presenti.
I dati delle Rilevazioni nazionali, ben lontani da intenzioni classificatorie, possono fornire una base solida per assolvere a più scopi, intorno ai quali l’interesse della ricerca e il consenso delle diverse componenti politiche e sociali del nostro Paese è sicuramente comune. Ma elaborare idee e proposte costruttive non è solo una misura per far fronte ai bisogni presenti; è anche la possibilità di proiettare lo sguardo verso il futuro per una popolazione scolastica eterogena e in costante evoluzione, da supportare e orientare.
Tornano quindi ancora una volta in primo piano, inevitabilmente, due parole fondamentali per la riflessione e l’azione verso e con la scuola e le giovani generazioni: competenze e inclusione.
Quando parliamo di competenze non ci riferiamo solo a quelle disciplinari, più tradizionali, ma anche a quelle non disciplinari. Questa sono tutt’altro che alternative e disgiunte dalle prime; sono anzi parte integrante del multiforme repertorio di competenze che ciascuno di noi sviluppa nella propria vita, attraverso percorsi formali, in primo luogo la scuola, e anche non formali.
Per fare degli esempi pensiamo alle competenze di cittadinanza. Credo concorderemo tutti che senza appropriate competenze disciplinari di base, fondamento per un buon livello culturale, un adeguato esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza propri di ogni persona rischi di essere parziale se non addirittura astratto, e lo stesso accadrebbe per un’inclusione effettivamente agita.
Ma lo stesso discorso vale per altre competenze, molto pervasive per la realizzazione personale e per la promozione di una società realmente inclusiva, come il decision making, il problem solving, la comunicazione efficace, la capacità di relazione empatica e di gestione di situazioni stressanti, la capacità di utilizzare risorse nuove come quelle legate alla digitalizzazione, il cui innalzamento merita sicuramente attenzione.
Interrogare i dati e mettersi in ascolto di ciò che possono dire non è un processo unidirezionale, poiché richiede allo stesso tempo la disponibilità a farsi interrogare da questi, a sottoporre a verifica empirica le soluzioni che si prospettano nei confronti delle criticità rilevate: cosa stiamo facendo concretamente per modificare quello che i dati ci indicano come non adeguato? Come stiamo utilizzando le risorse che ci sono per superare i problemi che abbiamo individuato? Le decisioni che abbiamo assunto ci stanno portando nella direzione desiderata?
Se i dati non ci interrogassero e se non prestassimo loro la giusta attenzione probabilmente il sistema scuola perderebbe la possibilità di una prospettiva pedagogico-didattica fondata sul riscontro empirico delle decisioni prese e delle azioni adottate. I Paesi che si sono confrontatati con la necessità di migliorare il proprio sistema scolastico e hanno ottenuto risultati interessanti – sia nel contrasto alla dispersione nelle sue diverse forme sia nella valorizzazione dei talenti – hanno fatto del dato empirico delle Rilevazioni nazionali una leva per la costruzione di percorsi di studio differenziati, per il coinvolgimento attivo e responsabile, in una logica di lavoro di squadra, delle diverse componenti della scuola.
Ecco, se per chiudere questa breve conversazione volessimo trovare una terza parola-chiave, dopo competenza e inclusione, questa credo potrebbe essere proprio responsabilità, termine al quale possiamo attribuire tanti significati a seconda delle situazioni alle quali la applichiamo, ma che per noi può voler dire prendere in carico il cambiamento accogliendo la sfida che qui e ora i dati ci lanciano a più livelli:
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