In questo Editoriale Anna Maria Ajello, Presidente dell’INVALSI, ci offre una interessante riflessione sulla valutazione nella didattica a distanza.
Una indispensabile premessa
Per poter ragionare di che cosa è successo nel periodo della pandemia e di come si pongono i temi della verifica e valutazione è opportuna in primo luogo qualche precisazione concettuale iniziale.
Ogni qual volta si insegna qualcosa – sia una abilità, un contenuto di conoscenza o una specifica competenza – è come se si raccogliesse la sfida che l’ignoranza degli studenti propone a chi insegna: il docente raccoglie quella sfida ipotizzando un percorso didattico che possa colmare quella carenza.
È come se il/la docente pensasse Se io propongo questo, questo e quest’altra cosa, allora potrò raggiungere l’obiettivo, cioè formulasse un’ipotesi didattica che orienterà le sue azioni.
In un certo senso si può considerare l’intervento didattico nella prospettiva del problem solving, per cui diviene l’itinerario di soluzione per risolvere il problema dell’ignoranza degli studenti.
D’altra parte, proprio la libertà del docente di progettare, organizzare e realizzare un curricolo, comporta la responsabilità della scelta dei criteri per verificarne l’efficacia.
Quanto siano articolati e diversi poi i criteri della verifica, dipende dalla varietà degli apprendimenti messi in campo e dalla coerenza e omogeneità necessaria.
È fondamentale comunque che tali apprendimenti siano resi visibili, servendosi anche delle ricche potenzialità che il digitale consente.
Alla fine del processo di raccolta dati rappresentato dalla verifica, l’esito è la materia propria della valutazione, vale a dire l’espressione del giudizio da parte del docente sul complesso di quei risultati e sul loro significato, connesso ai molti e vari elementi che sono implicati nella realizzazione di ciascun curricolo.
Che cosa è successo con il Covid-19
Si potrebbe iniziare così un racconto relativo all’interruzione della didattica ordinaria, perché studenti e docenti si sono trovati di punto in bianco immersi in una situazione del tutto nuova e imprevista e per lo più con il disorientamento e il disagio provocato dall’angoscia per l’emergenza sanitaria, che ha fatto scoprire tutti/e fragili e indifesi.
Dal punto di vista professionale per i docenti si è proposta una situazione in cui si sono trovati a fronteggiare un’emergenza senza aver potuto programmare i propri interventi educativi, così come avviene normalmente, e per di più secondo una modalità, quella della didattica a distanza, che facendo perno sulle tecnologie richiedeva anche una competenza specifica, non necessariamente già disponibile nei docenti.
I loro modi e tempi di reazione sono stati molto diversi e si collegano anche al funzionamento dei gruppi docenti e della dirigenza scolastica, che come al solito contraddistinguono la grande varietà delle scuole nel nostro Paese.
A questo si aggiunga anche il cambiamento di scenario che si sono trovati davanti i docenti con gli studenti posizionati nelle loro case, ciascuna diversa dalle altre, con dispositivi e condizioni di partecipazione diversi, più o meno comode o in alcuni casi ostacolanti la stessa possibilità di un ascolto tranquillo e al riparo da altri rumori.
Questo quadro ha complessivamente indotto reazioni diverse da parte dei docenti che potremmo ricondurre a tre modelli generali, di seguito sintetizzati che non escludono tuttavia, anche forme di ibridazione.
Didattica a distanza
Nella realizzazione didattica possiamo ipotizzare1 diverse modalità, provando a immaginare le tipologie di soluzione.
Trasferire ciò che si fa in aula…
…in un video e fare lezione in collegamento con gli studenti; inviare lezioni video registrate (asincrone); inviare schemi riassuntivi con o senza indicazioni di pagine di riferimento nei testi; indicare pagine da studiare e compiti da fare con autocorrezione o correzione del docente in differita.
In questa prospettiva l’impegno del docente è quello di selezionare e semplificare le cose da imparare, con una prevalente visione riduzionistica delle difficoltà (Vi invio uno schema all’osso di Napoleone, ha dichiarato una docente).
Che cosa si può fare a distanza?
Possiamo ricondurre a questa domanda iniziale questo tipo di soluzione con lezioni più brevi e una didattica attiva nel senso di proporre agli studenti cose da fare i cui risultati sarebbero poi stati rielaborati insieme; ciò ha anche implicato l’uso di diverse piattaforme per favorire le connessioni (ad es. Zoom, Meet, Teams, ecc.) o altre specificamente rivolte alle scuole o usufruire di video già fatti, ad es. quelli dell’INDIRE, della RAI o di podcast radiofonici appositamente realizzati.
In questa prospettiva risulta fondamentale la mediazione psicopedagogica, vale a dire la riflessione insostituibile che va condotta sulla selezione e la scelta dei diversi materiali a disposizione, ponendosi diverse domande:
Che cosa c’entra questo video rispetto a ciò che gli studenti devono imparare?
Come si inquadra nella proposta didattica complessiva?
E come si connette al resto delle attività?
Come si vede un lavoro complesso e intenso di back office da parte del docente, collegato ad una concezione curricolare dell’intervento educativo.
Approfittare per cambiare il modo di fare scuola
L’emergenza sanitaria può essere anche stata l’occasione per introdurre cambiamenti radicali nel fare scuola e, cioè, fare perno sull’ambiente come la casa in quanto oggetto di studio (ad es. alimentazione, ritmi di vita sonno/veglia, struttura degli edifici, orientamento solare, misurazioni ecc.) e quando è stato possibile anche ambienti esterni (cortili, giardini, vie, palazzi ecc.) come ambiti su cui dirigere l’attenzione degli studenti, sviluppando in loro uno sguardo più attento e consapevole del mondo che li circonda.
Questo tipo di interventi è esposto ad una ampia e inevitabile autoreferenzialità dei docenti, fondandosi su una loro maggiore libertà e responsabilità professionale.
Ma nel valorizzare le singole situazioni di vita degli studenti i docenti hanno anche rivestito una funzione di aggancio e di sostegno della relazione con loro, con un indubbio ruolo di conforto rispetto al serpeggiare dell’angoscia diffusa.
Avviarsi su questo modo di fare didattica tuttavia, ha richiesto un’indubbia sicurezza professionale fondata probabilmente anche su positive esperienze pregresse.
Fronteggiare, usare la tecnologia nella didattica a distanza
Il primo aspetto da sottolineare è la particolare anzianità del corpo docente italiano – siamo ad una media di oltre 50 anni – e ciò rappresenta un forte ostacolo all’imparare e al coinvolgersi nell’uso avvertito delle tecnologie.
Non si tratta soltanto di incapacità, ma di ricadere in quella concezione tante volte sostenuta dagli stessi docenti di non essere portati per… che di solito blocca la possibilità di procedere nell’imparare, soprattutto quando si riscontrano difficoltà a prima vista quasi insormontabili.
Possiamo immaginare nei docenti una competenza distribuita su quattro livelli:
- rifiuto dell’uso delle tecnologie, disimpegno nell’accettazione delle tecnologie a scuola e/o assenza di un tutor che abbia consentito un positivo avvio dell’acquisizione
- competenze di base, minime per un uso autonomo
- competenze in progress verso un uso avvertito di diversi programmi
- competenze smart di un docente che prende gusto all’uso e procede verso una competenza esperta
Se si prendono in carico davvero queste caratteristiche, bisognerebbe pensare ad attività formative tarate e ben pensate per utenti inquadrabili ai diversi livelli, escludendo se mai il livello 4 che non avrebbe bisogno di aiuti.
Va considerata anche una certa ridondanza e ciclicità nella formazione perché nelle tecnologie non basta un corso soltanto, ma è necessaria una pratica ripetuta e monitorata.
Se si immagina una didattica che potrà avere nuove interruzioni e un più diffuso uso delle tecnologie, una formazione ben calibrata sugli utenti va progettata adeguatamente e per tempo.
Ritorniamo alla verifica e alla valutazione
È abbastanza strano (ma non sorprendente) che in questo periodo di confinamento nelle case e di insegnamento a distanza, non emerga in primo piano il problema della valutazione, non solo di quella standardizzata, su cui dirò tra poco, ma anche della valutazione tout-court.
Perché proprio la grande eterogeneità che si è realizzata, la forzata autoreferenzialità delle proposte didattiche, dovrebbe richiedere a maggior ragione l’esigenza di avere risposte a domande del tipo:
Che cosa mi aspettavo dagli studenti?
Che cosa è successo?
Che cosa dovrei cambiare se si ripetesse questa emergenza?
Che cosa dovrei migliorare?
Che cosa posso continuare a fare come ho fatto?
Queste domande non riguardano se non di riflesso gli studenti, riguardano in primo luogo i docenti come professionisti dell’insegnare e le risposte dovrebbero fondarsi su criteri intersoggettivamente condivisi tra colleghi.
Ciò vuol dire anche poter realizzare strumenti non ordinari, che informino su quanto hanno imparato gli studenti, che siano coerenti con le richieste cognitive che la didattica ha proposto loro.
In tal senso se uno studente ha realizzato elaborati specifici, magari con materiali, è importante individuare strumenti che rendano visibile il suo apprendimento.
Nel caso di un particolare oggetto – un plastico, una serie di vignette, un racconto, la preparazione di un cibo con calcolo di ingredienti, i risultati di misure particolari, o altro ancora – si può costruire un video nel quale sia per lui o lei possibile raccontare, mostrando le diverse fasi della lavorazione, come è stato realizzato quel particolare prodotto.
Ovviamente ciò comporta da parte dei docenti l’elaborazione di criteri di verifica e valutazione che siano discussi tra colleghi e intersoggettivamente condivisi, sulla base di riflessioni disciplinari e psicopedagogiche, che traducano le prestazioni osservate in termini di tappe di acquisizione di competenze specifiche e rilevanti.
Ritorna utile a questo proposito la distinzione tra valutazione a validità locale e valutazione standardizzata.
La prima si riferisce al curricolo realizzato, vale a dire alla proposta didattica così come è stata messa in pratica da quello specifico gruppo classe, con gli strumenti e le modalità proposte, in quella situazione di tempo e di spazio (ad esempio, durante la pandemia in una specifica zona) in quel contesto sociale e culturale, e così via.
Naturalmente proprio la caratteristica di accentuata specificità si espone al rischio di autoreferenzialità delle acquisizioni realizzate.
La comprensione di un testo e l’elaborazione di dati quantitativi presenti nelle Prove INVALSI rappresentano infatti questo tipo di competenze, ineludibili come obiettivi da raggiungere previsti dalle Indicazioni nazionali.
Come si vede, i due tipi di valutazione non sono alternativi ma complementari.
Il fatto che durante la pandemia si sia accennato alla valutazione solo per gli esami, è un elemento preoccupante perché è come se si trattasse di difendere gli studenti da un’autorità censoria – avallando così una concezione trita e arretrata di valutazione – e non riceve attenzione invece, la valutazione come fonte indispensabile per dare visibilità alle diverse forme di apprendimento realizzate e per fornire informazioni come elementi utili all’incremento della professionalità dei docenti.
1 Il Ministero dell’Istruzione ha condotto due monitoraggi sulla didattica a distanza di cui sono in corso di divulgazione i risultati.