Il valore sociale dei dati

Il Presidente Roberto Ricci ci offre una riflessione sul valore sociale dei dati, su come questi siano importanti per creare momenti di dialogo e di confronto culturale per costruire una reale comunità educante.

Il valore sociale dei dati

I temi che riguardano la scuola suscitano sempre un vivace dibattito e anche tante discussioni. È un po’ il destino di tutte le questioni importanti, a livello individuale ma anche sociale.

La scuola è un ambiente che è appartenuto a tutti noi per un tempo più o meno lungo della nostra vita – basta pensare a quante volte vi torniamo con il ricordo nelle più diverse occasioni – e comunque in un momento del nostro percorso di sviluppo personale particolarmente sensibile come l’infanzia e l’età giovanile.

Tutti abbiamo della scuola più una rappresentazione aneddotica – e quindi soggettiva, sulla base della nostra esperienza o su quella di persone a noi vicine – che non una visione oggettiva, fondata su dati reali. Tali dati, proprio in quanto superano una visione personale, sono l’innesco necessario e imprescindibile per creare momenti di dialogo e di confronto sociale e culturale, per costruire una comunità educante, della quale la scuola non è la sola componente, per giocare a favore del futuro dei nostri giovani e del nostro Paese.

Una delle ragioni per cui i dati INVALSI danno vita a un confronto di opinioni, a volte anche acceso, è che mettono in evidenza differenze. La permeabilità per affrontare le differenze è un problema culturale, una questione complessa che per essere analizzata richiede rigore scientifico e disponibilità ad accogliere quelle sfide senza le quali l’esistente difficilmente può essere compreso e migliorato.

Prima di proseguire nella nostra breve riflessione soffermiamoci un momento sulla parola differenze, termine che non viene usato solo per indicare convenzionalmente gli studenti che sono in una situazione di fragilità, ma accoglie anche gli allievi che in qualche modo si trovano a dover volare più in basso di quanto potrebbero fare poiché non ricevono strumenti adeguati a sostenere il loro percorso.

Riprendiamo il filo del nostro discorso. Per osservare la complessità della scuola occorre compiere un salto – ed è un salto impegnativo – nel modo in cui la studiamo e la consideriamo.

La disponibilità di dati è conditio sine qua non perché ciò accada. Quelli che INVALSI mette a disposizione di tutti, e intorno ai quali si accendono discussioni e riflessioni, ci dicono chiaramente che molti dei nostri studenti hanno difficoltà nel conseguimento delle competenze di base, riportano cioè risultati sottosoglia rispetto al loro livello di scolarità.

Se però il loro valore informativo si limitasse a questo non entreremmo nel cuore delle questioni salienti. Questi risultati infatti sono un problema per l’intera collettività, non solo per l’universo scuola, e trovano da tempo conferma anche nelle immagini fornite da altri sistemi di misura comparabili esterni al nostro sistema nazionale.

I dati che l’INVALSI rileva non costituiscono un tema su cui riflettere solo per la scuola, al contrario, hanno un’implicazione sociale che investe tutte le istituzioni. Non c’è ambito che possa chiamarsi fuori, perché il fatto che molti dei nostri giovani abbiano palesi difficoltà nel possesso delle competenze di base è un problema sociale.

Avranno gli strumenti per proseguire gli studi? Come accederanno al mondo del lavoro? Quale sarà la loro capacità di partecipare attivamente e responsabilmente, come cittadini, alla vita del Paese?

Questa carenza di competenze non nasce affatto nella scuola superiore, dove si manifesta in maniera più evidente e preoccupa di più in relazione ai risultati dei giovani che escono dal ciclo di studi superiore. È un dato certamente allarmante, ma che deve sollecitare l’attenzione a quanto accade nei cicli precedenti, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, e deve interrogarci tutti sulla canalizzazione degli studenti, spesso fortissima, già nelle prime classi in base alla provenienza socio-economica.

Ritornano quindi in primo piano parole sulle quali abbiamo focalizzato più volte l’attenzione, anche in questo sito, perché rispondono a situazioni sociali, non solo scolastiche, delle quali non è la scuola la sola responsabile, ma il sistema sociale e culturale vigente; parliamo cioè di inclusione e di equità, sul cui pieno raggiungimento c’è unanime concordanza di intenti.

Ma come farlo in assenza di informazioni chiare, oggettive, che descrivono realtà osservate con rigore e metodo, per non incorrere in quelle rappresentazioni basate sul proprio vissuto personale alle quali ciascuno di noi può fare appello?

La mancanza di informazioni non produce altro risultato che la riproduzione delle differenze e delle disparità. Ecco quindi che si affaccia alla nostra consapevolezza una doppia esigenza: non solo abbassare il numero di coloro che non compiono l’intero percorso d’istruzione (i dispersi), operazione di imprescindibile e vitale importanza per gli studenti stessi e per il Paese, o che non acquisiscono le competenze di base necessarie pur arrivando a stento a ottenere il pezzo di carta, ma anche garantire a quei ragazzi che possiedono gli strumenti per avere risultati migliori di trovare spazi di apprendimento e di formazione adatti alle loro possibilità.

Ma il dato rilevato, che ha una valenza forte per descrivere e analizzare le diverse situazioni, per indirizzare decisioni, non è il solo elemento di cui si ha bisogno; sarebbe riduttivo e miope focalizzarsi esclusivamente su questo. A questo dato attendibile la scuola deve aggiungere la ricchezza delle proprie informazioni, che costruiscono la quotidianità del lavoro con gli allievi e che non possono essere comprese in quelle desunte da una rilevazione nazionale una volta l’anno.

Ecco allora il salto culturale al quale si vorrebbe tendere, realizzare la sinergia tra attori diversi, per aiutare la scuola a sostenere attraverso azioni metodologico-didattiche appropriate i ragazzi; ciò significa corrispondere ai loro bisogni formativi e di apprendimento in termini di conseguimento delle competenze di base fondamentali per la crescita personale e per la futura vita professionale, ma anche offrire strumenti adeguati a coloro che possiedono un potenziale maggiore.

Appare quasi ovvio e scontato affermare che per questa evoluzione il connubio tra dati osservati e misurati e informazioni qualitative non è solo auspicabile ma necessario.

È questa un’alleanza alla quale l’INVALSI tende e mette in campo ogni energia per promuovere e rafforzare azioni in tal senso. I dati vanno interrogati, in questo patrimonio occorre cercare le risposte alle domande che ci si pongono, per intervenire qui e ora ma con uno sguardo aperto al futuro.

Un futuro ricco di possibilità che vogliamo concorrere a trasformare in valore e realtà per tutti: ragazzi, cittadini, scuola, istituzioni, Paese.

Foto di Depositphotos

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