Sarebbe ardito, oltre che scorretto, asserire che i dati delle rilevazioni standardizzate nazionali e internazionali rappresentino la soluzione ai problemi con i quali il sistema scolastico si confronta da tanto tempo. Ugualmente fuorviante sarebbe ridurre la loro lettura a una ingenua semplificazione. È questo il filo conduttore della riflessione che Roberto Ricci ci propone in questo spazio Editoriale.
Siamo alla vigilia della presentazione dei risultati delle rilevazioni nazionali 2024 e l’interesse per conoscere lo stato di salute della nostra scuola è come sempre alto. Ciò che emergerà non potrà che arricchire il panorama già delineato non solo dalle precedenti rilevazioni ma anche dalle indagini internazionali, come PIRLS e PISA, alle quali il nostro Paese partecipa con sistematicità fin dalle prime edizioni.
Il quadro della realtà scolastica che questi studi mostrano è sicuramente complesso e una situazione articolata non può essere ricondotta a una rappresentazione semplicistica, figlia di una ingenuità scientifica che il nostro sistema scolastico certamente non merita.
Attraverso i loro dati le rilevazioni standardizzate offrono invece gli strumenti per una lettura attenta, rispettosa e approfondita, di fenomeni che si realizzano all’interno della scuola, asse portante del più ampio sistema sociale.
Non vogliamo certamente dire che la disponibilità di dati sugli esiti di apprendimento e sul funzionamento del sistema scolastico rappresenti di per sé la soluzione dei problemi. È però innegabile che questo patrimonio di informazioni, basate su evidenze empiriche solide, può contribuire in maniera rilevante all’individuazione di percorsi di miglioramento.
Siamo consapevoli che non esistono misure che abbiano solo effetti positivi e che le misurazioni standardizzate forniscano una fotografia parziale del sistema scolastico. Tuttavia, possiamo asserire che una disponibilità di dati capace di raggiungere un livello molto dettagliato, fino al singolo allievo e alla singola allieva, mette a disposizione di tutti gli attori istituzionali a diverso titolo interessati al benessere del sistema scuola la possibilità di prefigurare scenari alternativi e di effettuare scelte tese al miglioramento dell’esistente. Perché questo sia possibile è conditio sine qua non affrontare con chiarezza, lucidità, onestà intellettuale e umiltà problemi nuovi e antichi che affliggono la nostra scuola.
Rappresentare un quadro complesso richiede uno sforzo sistematico per fornire una immagine migliore, anche se sempre provvisoria, di ciò che si vuole descrivere. Volendo usare la fotografia come metafora potremmo dire che un’istantanea non basta, ma occorre scattare tante foto da più angolature diverse e riguardarle poi con occhio attento per apprezzarne luci e ombre.
Porsi in questa prospettiva vuol dire aiutare la collettività a rendere più esplicito ciò che spesso resta implicito; questo pone tutti in condizioni di accedere alle informazioni sulla scuola, sulle risorse che questa mette a disposizione di ogni giovane in una prospettiva di equità e inclusione, come anche approfondire e focalizzare meglio questioni sociali che proprio a scuola possono essere colte nella loro urgenza e affrontate, soprattutto in chiave preventiva.
Pensiamo per esempio a come e quanto i dati – per quanto non sufficienti in sé e per sé – siano indispensabili per intervenire precocemente sulle cause dell’insuccesso scolastico e, allo stesso tempo, per supportare la crescita generale dei livelli di apprendimento, inclusi quelli elevati ed eccellenti.
La presentazione dei risultati delle Prove INVALSI non si limita a dare conto dei livelli di apprendimento dei nostri ragazzi; offre invece le basi per fondare una discussione plurale e aperta su quali debbano essere i traguardi di apprendimento, adattandoli sì alle esigenze di tutti e di ciascuno, ma anche individuando riferimenti misurabili e riscontrabili per l’intera collettività.
D’altro canto, non è immaginabile una vera valutazione formativa se non si chiariscono i traguardi verso i quali si vuole tendere e come misurare la distanza da tali obiettivi. In questo senso le Prove INVALSI possono rappresentare un utile strumento – non certo il solo – per supportare le scuole e i docenti in questo percorso molto complesso ma di fondamentale importanza.
La disponibilità di dati oggettivi è perciò la base tecnico-scientifica sulla quale costruire una riflessione pedagogica seria e ampia, per sviluppare sinergie tra quanti a diverso titolo e con diverse funzioni concorrono a realizzare un sistema formativo di qualità.
Del resto, un dibattito costruttivo non può prescindere dal confronto con dati reali, validi e attendibili, senza i quali ogni dialogo correrebbe il rischio di trasformarsi presto in prese di posizione che possono deviare dall’oggetto centrale, cioè la qualità dell’istruzione che i nostri giovani ricevono a scuola per un periodo così lungo e così cruciale per il loro futuro.
I dati – benché non esaustivi, come abbiamo già detto – ci aiutano ad entrare senza pregiudizio nelle pieghe del sistema scolastico, a comprenderne le potenzialità e anche a capire cosa ci sta sfuggendo, in un’ottica di miglioramento costante di ciò che abbiamo, non solo di ciò che non va.
Del resto, come potremmo scoprire spazi inesplorati e nuove opportunità senza una precisa conoscenza di ciò che possediamo, delle sue caratteristiche qualitative e quantitative, positive e problematiche? Come potremmo accogliere e trasformare in valore aggiunto le sfide che i mutamenti tecnologici ci stanno ponendo?
Sono interrogativi sfidanti, dai quali l’INVALSI non può né deve rimanere fuori. In una prospettiva di aiuto e supporto il nostro Istituto si sta impegnando intensamente per fornire alla scuola strumenti, rigorosi e facilmente utilizzabili, per la costruzione di percorsi di promozione delle competenze digitali nei diversi gradi scolastici, nel solco di una tradizione di dialogo sempre aperto, ricco, diretto e, non da ultimo, rispettoso.
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