Aldo Visalberghi: un pedagogista illuminato in anticipo rispetto ai tempi

In questo Editoriale Anna Maria Ajello, già Presidente INVALSI, ci parla di Aldo Visalberghi, uno dei più illustri pedagogisti italiani. A lui, che fu Presidente del Centro Europeo dell’Educazione, è dedicata la Biblioteca del nostro Istituto.

Ricordare Aldo Visalberghi significa ripercorrere un tratto della storia del nostro Paese dal punto di vista dell’educazione come attività di ricerca, come attenzione ai problemi didattici, come impegno politico per orientare il cambiamento in senso laico e progressista in una fase dello sviluppo in cui si manifestavano in modo crescente le esigenze di ricostruzione e di modernizzazione delle strutture portanti di uno Stato uscito dagli eventi disastrosi di una guerra.

Visalberghi, nato a Trieste nel 1919 e scomparso a Roma nel 2007, è cresciuto in un ambiente mitteleuropeo al riparo da provincialismi e pregiudizi nazionalistici; dopo aver frequentato il liceo in quella città si iscrisse alla Scuola Normale di Pisa ove si laureò nel 1941-42 con una tesi di cui fu relatore Guido Calogero.

L’incontro con il filosofo del dialogo – Guido Calogero coltivò con passione lo studio della filosofia socratica – ha rappresentato una fase fondamentale nella formazione di Visalberghi perché una parte del suo laicismo si connette proprio all’esigenza di apertura e di curiosità per il diverso che il dialogo presuppone. 

Visalberghi partecipò come sottotenente dei granatieri di Sardegna alla seconda guerra mondiale e combatté contro i tedeschi per la difesa di Roma a Porta San Paolo (settembre 1943); prese parte poi alla Resistenza in Piemonte, con le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà. Fu imprigionato per due volte e dopo la liberazione aderì al Partito d’Azione, disciolto il quale nel 1947, ha militato nel Partito socialista italiano.

L’impegno politico di Visalberghi è uno dei fili rossi della sua vita perché fu promotore di iniziative volte a promuovere avanzamenti nella cultura della scuola, considerata sempre come il motore principale di una società orientata al progresso e soprattutto come strumento per contribuire all’emancipazione di gruppi sociali più svantaggiati. L’impegno nel Partito socialista per la riforma della scuola media del 1962 è forse l’esempio che meglio lo rappresenta.

Nell’ampia varietà dei suoi contributi in campi diversi, sebbene tutti riconducibili all’ambito educativo nel senso più ampio, si possono distinguere alcuni filoni che ancora oggi possono aiutare a meglio focalizzare questioni di rilevante interesse: l’apertura ai rapporti internazionali con l’accesso agli studi di Dewey e ai contributi dei pedagogisti (potremmo piuttosto indicarli come gli “educational scientists”) di diversi Paesi; l’interesse per le proposte didattiche innovative e le tecnologie dell’istruzione; lo studio dei problemi della misurazione e della valutazione.

Il suo pensiero in realtà, come lui stesso ricordava, era frutto di frequentazioni diverse: Guido Calogero già richiamato, John Dewey, Norberto Bobbio, Tristano Codignola, Aldo Capitini, Cestin Freinet e i diversi incontri con le realtà educative innovative che hanno caratterizzato la sua vita.

I contatti internazionali sono stati cementati dalla sua esperienza negli Stati Uniti come fruitore di una borsa Fulbright; l’esito di quella permanenza non solo consentì a Visalberghi di studiare i testi di Dewey da cui poi prese origine la traduzione della Logica Teoria dell’indagine di questo autore, ma anche la costruzione di rapporti con studiosi diversi tra cui Torsten Husen – pedagogista svedese che insegnò anche a Chicago e a Stanford – con il quale in seguito contribuì alla realizzazione delle prime indagini IEA (International Association for Evaluation of Educational Achievement) a cui il nostro Paese ha preso parte sin dalla prima edizione.

Va sottolineata la rilevanza di questi incontri per lui, ma anche per la cultura pedagogica italiana, che era ancora diffusamente ancorata ad una concezione idealistica per niente pronta a simili aperture.

Il respiro internazionale degli studi di Visalberghi inoltre, ha rappresentato una novità positiva che lo ha condotto a divenire anche Presidente del Centro Europeo dell’Educazione (CEDE) istituito nel 1974, con sede a Villa Falconieri a Frascati, antenato dell’attuale INVALSI che ha voluto intitolare giustamente a lui la biblioteca.

Un secondo filone di interesse riguarda le proposte didattiche innovative e le tecnologie dell’istruzione. Insieme a Mauro Laeng, alla fine degli anni sessanta dello scorso secolo, fu fondatore del CNITE (Centro Nazionale Italiano Tecnologie Educative).

La finalità di questo ente era quello di costruire, sulla base di specifiche e apposite ricerche, prototipi di proposte didattiche con utilizzo della tecnologia orientata a sostenere e rispondere alle esigenze di un Paese in rapido sviluppo, senza sottostare alle sole proposte di mercato.

In tale ambito l’educazione a distanza in Italia ebbe una particolare rilevanza con l’esperienza di lotta all’analfabetismo ancora diffuso mediante le trasmissioni televisive curate da Alberto Manzi (Non è mai troppo tardi) tanto da rappresentare un successo che suscitò anche un interesse internazionale.

Visalberghi in questa prospettiva, pur interessandosi alle esperienze di educazione a distanza che si stavano realizzando in altri Paesi, si mostrò attento all’impostazione solida e organicamente coerente di questo tipo di proposte; anche in questo caso il pedagogista risultò in anticipo di circa venti anni rispetto a quelli che sarebbero stati gli sviluppi didattici di questo tipo.

Sulla base di un interesse simile Visalberghi inoltre, si fece promotore in Italia – insieme a Maria Corda Costa, sua collega nella facoltà di Lettere a La Sapienza di Roma – del mastery learning

Con questa locuzione si faceva riferimento ad una proposta didattica particolarmente innovativa (elaborata negli USA agli inizi degli anni ’70 da Benjamin Samuel Bloom e collaboratori) e rispondente, per così dire, all’ispirazione democratica del pedagogista triestino in base alla quale ciascuno studente poteva aspirare alla padronanza (il mastery, appunto) solo che gli/le fosse lasciato il tempo necessario e le relative strumentazioni didattiche; in questa prospettiva l’attitudine diveniva una variabile inversamente proporzionale al tempo: minor tempo di apprendimento, più attitudine.

L’implicito assunto dell’apprendimento come risultato di un condizionamento, secondo la prospettiva skinneriana, con le sue diverse implicazioni, veniva oscurato da questo intento democratico per cui a scuola tutti/e potevano raggiungere la padronanza.

Il terzo filone di rilevante interesse e di permanente attualità riguarda l’area della misurazione e della valutazione. Verso la fine degli anni ’50 infatti Visalberghi ha attivamente sostenuto la promozione degli studi docimologici in Italia con riferimento agli strumenti e al testing che riducessero il grado di soggettività sempre presente nella valutazione scolastica.

Questa lucida consapevolezza è presente in diversi suoi contributi ma il testo a cui mi riferirò in particolare è quello di Visalberghi A. (1955) Misurazione e valutazione nel processo educativo (Milano: Edizioni di Comunità) perché mostra sia l’incisiva trattazione di una questione sempre al centro di visioni contrastanti, sia il lungo percorso che sta ancora facendo la nostra cultura educativa diffusa per approdare ad una visione corretta e aggiornata dei problemi della valutazione.

Vorrei riportare alcune frasi molto efficaci di Visalberghi nella prima parte del testo:

La parola “misura” ha due significati principali, che non sono scollegati come taluni aspetti della vita moderna potrebbero far temere. Non c’è nessuna ragione di fondo per cui la “misura” intesa come operazione di conteggio o confronto non debba accompagnarsi con la “misura intesa come abito di equilibrio e di discrezione. (p. 11)

In pochi individui ho trovato un senso della “misura” così sviluppato quanto nei pochi veri specialisti in psicometria che ho avuto la fortuna di conoscere. (pp. 12-13)

Queste parole indicano come il pedagogista triestino imposti il problema della misurazione che ritiene fondamentale e ineludibile, perché produce informazioni “quantitative” sugli esiti dell’intervento didattico e, nello stesso tempo assolutamente parziali perché da sole non possono costituire il giudizio sulla complessità dell’intervento didattico.

Visalberghi più oltre nel testo sottolinea la necessità per il/la docente di trarre informazioni valide e attendibili con strumenti “oggettivi”, nel senso di strumenti costruiti per limitare i pregiudizi che possono inficiare il giudizio, sulla resa del proprio intervento educativo.

Si tratta di un’impostazione che si ritroverà in modo analogo nella prospettiva cognitivista quando si considera il curricolo come proposta didattica, una ipotesi di soluzione di un problema, “l’ignoranza” degli studenti, che il/la docente mette a punto per superarla.

Sono diversi i passi in cui Visalberghi mette in guardia dall’identificazione di misurazione e valutazione, ma nello stesso tempo, sottolinea la fallacia delle posizioni ideologiche di contrasto alle prove oggettive di profitto, alla cui costruzione, anche in ambito universitario ha fatto frequente ricorso.

Per finire, un ricordo personale. Il mio primo esame all’università l’ho sostenuto proprio con Visalberghi e con un suo “assistente” Luigi Borrelli, come consideravamo noi studenti tutti coloro che collaboravano con “un barone”.

Erano gli anni della contestazione – giugno 1969 – e io, in apertura di esame, con la schiettezza motivata solo dall’impudenza dell’età, dichiarai il mio disappunto per aver dovuto studiare il manuale di storia della pedagogia di Lamanna, di cui noi studenti dicevamo un gran male, pur dichiarando i pedagogisti l’importanza dell’imparare attivo.

Visalberghi, che aveva un’aria pensosa e quasi trasognata, si rizzò sulla sedia e stupito, ma senza aggiungere nulla, mi chiese che tipo di scuola secondaria avevo fatto passando poi ad interrogarmi su Dewey e altro. Me la cavai, ma alla fine Borrelli, quando il prof propose il 30 come voto di esame aggiunse testuale: “Non gliela dai la lode?” Visalberghi, senza battere ciglio, replicò: “Certo!”

Probabilmente non era del tutto convinto, ma il suo stile elegante, non gli consentì di lasciare il dubbio che la mia critica avesse influenzato negativamente la sua valutazione.

Come si vede, l’ispirazione politica progressista dispiegata a tutto campo, l’apertura ai rapporti internazionali, l’interesse per gli aspetti tecnologici negli interventi didattici, l’impegno nell’orientare gli interventi educativi con strumenti in grado di documentarne in modo attendibile l’efficacia, l’eleganza dei modi, disegnano la figura di un pedagogista innovatore di cui si avverte ancora acutamente la mancanza.

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