La scuola favorisce l’inclusione. Non è solo uno slogan, ma il dato che emerge dal Rapporto INVALSI 2018.
Inoltre i risultati OCSE PISA ci danno un’altra buona notizia: nonostante in Italia i flussi migratori siano abbastanza recenti, il rapporto tra gli esiti di apprendimento conseguiti dagli stranieri che frequentano la nostra scuola rispetto agli italiani è in linea con quello di Paesi con una consolidata storia di immigrazione.
Ciò significa che la scuola italiana riesce a essere inclusiva.
La scuola italiana è sulla buona strada nel tutelare il diritto allo studio degli studenti stranieri. Non si può negare però la presenza di un divario negli esiti di apprendimento conseguiti dagli immigrati, che si attestano su livelli più bassi rispetto ai loro coetanei autoctoni. Questo emerge nelle rilevazioni nazionali come in quelle internazionali.
L’obiettivo della scuola deve essere la riduzione di questo divario. Un livello più basso nell’acquisizione di competenze fondamentali come quelle misurate dall’INVALSI rischia infatti di diventare un freno alla capacità futura di partecipare pienamente alla vita collettiva.
Quanti stranieri ci sono nelle nostre aule?
Nella nostra scuola gli studenti stranieri sono il 10% del totale, ma non sono distribuiti in maniera omogenea sul territorio nazionale: gli immigrati sono maggiormente presenti al nord del paese, mentre al sud e nelle isole le percentuali sono più basse.
Se nelle zone centrali c’è un dato simile alla media nazionale, nella macro area Nord Est si riscontrano picchi di concentrazione del 17%, mentre in quelle meridionali abbiamo valori minimi intorno al 3%.
Per comprendere meglio le differenze nelle prestazioni degli studenti della scuola italiana bisogna distinguere tuttavia tra:
- italiani – nativi o meno del nostro Paese, che hanno almeno un genitore nato in Italia
- immigrati di prima generazione – nati all’estero da genitori non italiani
- immigrati di seconda generazione – nati in Italia da genitori stranieri
Tra le prove degli immigrati di prima e di seconda generazione c’è un ulteriore divario; questi ultimi hanno esiti migliori dei primi. Questo è un indicatore importante della capacità della scuola di includere gli studenti stranieri nel tessuto scolastico e sociale attraverso la riduzione dello svantaggio che comporta una diversa origine nazionale.
Due generazioni alle prese con tre discipline
È abbastanza semplice intuire il motivo principale delle differenti prestazioni tra i vari gruppi: la padronanza della lingua italiana. Minori competenze linguistiche e un lessico limitato influiscono sia sullo svolgimento delle Prove INVALSI, sia sull’attività didattica in generale.
Ma le prestazioni degli alunni immigrati sono influenzate anche da altri fattori, quali le differenze culturali e le condizioni economiche mediamente più svantaggiate. Per questi motivi gli immigrati di seconda generazione, che essendo nati in Italia hanno di norma maggiore padronanza dell’italiano, ottengono esiti di apprendimento migliori, pur senza raggiungere gli stessi risultati degli italiani.
Nella Prova di Italiano le prestazioni degli immigrati di prima generazione sono meno buone rispetto a quelle di coloro che appartengono alla seconda generazione. Questi ultimi a loro volta non raggiungono il livello medio dei loro compagni italiani.
I risultati nella Prova di Matematica si differenziano da quelli di Italiano per un progressivo miglioramento degli esiti ottenuti dagli alunni immigrati. Durante il loro percorso scolastico infatti le differenze con gli allievi italiani si attenuano, in quanto lo studio di questa disciplina è meno influenzato dalla padronanza della nostra lingua.
La Prova di Inglese è invece in controtendenza rispetto alle altre due: qui le differenze tra i gruppi sono ridotte. Accade anche che gli stranieri di seconda generazione ottengano risultati migliori di quelli conseguiti dagli italiani, stando alla media nazionale dei risultati.
Ciò è evidente in particolar modo nella prova di listening, cioè nella comprensione del linguaggio parlato: gli stranieri hanno solitamente una maggiore dimestichezza con l’utilizzo di più lingue, avendone spesso incontrata una o più d’una prima ancora di avvicinare l’italiano. Questo risultato in controtendenza è probabilmente in parte da attribuire alla provenienza di una quota di questi alunni da Paesi anglofoni o comunque precedentemente appartenuti al Commonwealth britannico.
La scuola che funziona include
Il Rapporto INVALSI fa riferimento solo alla scuola italiana. Volendo fare un confronto sovranazionale possiamo considerare i risultati delle Rilevazioni PISA, il programma internazionale per la valutazione dell’OCSE.
Ogni tre anni queste rilevazioni misurano le competenze – anche di lettura e matematiche – degli studenti quindicenni italiani e di altre realtà prevalentemente europee e nordamericane, con le quali abbiamo molto in comune.
Confrontando i loro risultati – facendo riferimento al lavoro di Maddalena Davoli – scopriamo un aspetto interessante: i dati della scuola italiana sono molto simili a quelli di nazioni con una consolidata storia di immigrazione, come la Germania o la Francia, dove tuttavia persistono differenze tra i risultati di nativi e immigrati.
Ciò suggerisce che non esiste una bacchetta magica per far sparire tutti gli elementi che condizionano le prestazioni degli studenti stranieri.
Ma una scuola che funziona deve essere in grado di ridurre progressivamente le criticità; deve formare alunni in grado di migliorare nel tempo e capaci di continuare ad apprendere anche dopo l’uscita dalla scuola.
In Italia un buon esempio di scuola in grado di includere può essere quella del Nord Est, dove le classi hanno la maggiore percentuale di allievi immigrati, ma i dati di quest’area sono migliori rispetto alla media nazionale. A dispetto di quanto alcuni potrebbero pensare, un maggior numero di studenti stranieri non si traduce necessariamente in prestazioni peggiori.
Approfondimenti
- Rapporto OCSE PISA 2012
- Rapporto OCSE PISA 2015
- Rapporto INVALSI 2018
- OCSE PISA 2012 – Contributi di approfondimento
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Foto in alto di: Remo Casilli
Grafici tratti da: Rapporto INVALSI 2018