Povertà educativa al Sud

Il Piano di Intervento del Ministero dell’Istruzione

Con la collaborazione di INVALSI, sono state presentate le prime analisi condotte sulle scuole che saranno interessate dal Piano, quelle cioè che presentano i dati sui livelli di competenza più bassi conseguiti dagli studenti. Quali sono i fattori che possono incidere sui divari fra Nord e Sud e fra scuole in difficoltà e con buone pratiche educative?

Povertà educativa al Sud - Il Piano di Intervento del Ministero dell’Istruzione

Diamo il via libera a un piano organico, che coinvolge tutti gli attori in campo. La scuola non può e non deve essere lasciata da sola a fronteggiare divari territoriali e dispersione scolastica.

Così ha affermato la Viceministra dell’Istruzione Anna Ascani in occasione della presentazione dello scorso 21 gennaio 2020 del Piano di intervento per la riduzione dei divari territoriali in istruzione.

I risultati INVALSI, mostrandoci i diversi livelli di competenze degli studenti italiani, hanno messo in luce che esiste una questione meridionale di povertà educativa.

È un fatto che il Sud e le Isole sono in difficoltà

Il livello di competenze acquisite a scuola in molti casi è inadeguato e, in ogni caso, più basso rispetto alla media nazionale. 

I traguardi da raggiungere a scuola dovrebbero, invece, essere standard in tutto il territorio nazionale.

Non va dimenticato che sono stati delineati dalle Indicazioni nazionali del Ministero e sono quindi considerati fondamentali per gli studenti per il loro sviluppo negli studi successivi e per la vita futura di relazione e cittadinanza.

Ecco perché un Piano per affrontare la povertà educativa nel Mezzogiorno non era più rimandabile e si concentrerà in particolare su quattro aree ritenute strategiche.

L’Individuazione delle Scuole in difficoltà

Le regioni coinvolte sono cinque, quelle in cui si riscontrano le più forti diseguaglianze educative: Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia

Per l’avvio del Piano di Intervento, il Ministero si avvale della collaborazione dell’INVALSI, che ha innanzitutto definito un modello per l’individuazione delle scuole target.

Sono gli istituti in cui si è registrato un divario nelle competenze, rispetto alla media nazionale, misurato sulla base dei risultati delle Prove nazionali relative agli anni scolastici 2017-2018 e 2018-2019.

L’analisi si è concentrata per ora sulle terze medie, il grado 8, ma l’obiettivo è poter utilizzare il modello con gli adeguati adattamenti anche per gli altri gradi del percorso di studi.

Le scuole al di sotto dei traguardi delle Indicazioni nazionali per il grado 8 (livello 3 per Italiano e per Matematica, B1 per Inglese-lettura e Inglese-ascolto) sono state quindi divise in due gruppi:

  • GRUPPO A – Scuole in forte difficoltà, in cui mediamente il 45% degli alunni di grado 8 in entrambi gli anni scolastici e in tutte le materie considerate non raggiungono livelli adeguati
  • GRUPPO B – Scuole in difficoltà, in cui mediamente il 30% degli alunni di grado 8 in entrambi gli anni scolastici e in tutte le materie considerate non raggiungono livelli adeguati

Come ha sottolineato la Viceministra Ascani, le Prove INVALSI non valutano in termini punitivi gli alunni, sono piuttosto un termometro dello stato di salute del sistema di istruzione. Il Piano che presentiamo oggi dimostra che questo termometro è utile a definire azioni mirate.

Le scuole in difficoltà sono poi state valutate attraverso dati provenienti dai RAV – cioè i Rapporti di autovalutazione con il quale le scuole si rappresentano – riferiti all’anno scolastico 2017/18 e dal Ministero dell’Istruzione, per tenere conto di altre variabili importanti come:

  • Il livello di autovalutazione che la scuola assegna nelle varie aree degli Esiti (risultati scolastici, Prove standardizzate e risultati a distanza)
  • i risultati scolastici e le assenze degli studenti
  • l’entità dei finanziamenti PON e la quantità e tipologia di progetti
  • le caratteristiche principali della scuola dal punto di vista strutturale

L’INVALSI – ha sottolineato la Presidente Anna Maria Ajello – aderisce con convinzione al Piano di intervento per la riduzione dei divari territoriali nell’istruzione.

Confermiamo la nostra disponibilità a offrire supporto metodologico e scientifico al Piano e alle iniziative che ne scaturiranno, mettendo a disposizione le nostre competenze per riconoscere capillarmente le situazioni di difficoltà e approfondirne le ragioni.

Le prime analisi condotte da INVALSI

Lo studio dell’INVALSI è sintetizzato nel Documento tecnico relativo all’intervento di riduzione dei divari territoriali, illustrato da Roberto Ricci, Dirigente di ricerca dell’Istituto, in occasione della presentazione del Piano di Intervento.

Le prime analisi condotte sulle scuole in difficoltà si sono concentrate su cinque fattori.

Prime analisi INVALSI Piano intervento divari territoriali

Soluzioni collaborative e non imposte dall’alto

Gli interventi che concretamente scaturiranno dal Piano del Ministero sulle scuole analizzate saranno condivisi e collaborativi e non imposti dall’alto

Le azioni da intraprendere per ridurre la povertà educativa sono infatti quanto più efficaci quanto più sono frutto di un lavoro condiviso tra scuole e Ministero.

Il sostegno all’autonomia e ai docenti è di per sé considerato un intervento decisivo, tra quelli proposti, per il superamento dei divari e il miglioramento dei risultati di apprendimento.

Le scuole individuate come destinatarie degli interventi potranno perciò valutare in autonomia le azioni più idonee alle loro difficoltà, tra quelle presenti nel repertorio redatto in collaborazione con l’INDIRE, e che sarà progressivamente arricchito. 

Tra le azioni che ad ora fanno parte del repertorio ci sono:

  • La necessità di favorire le pari opportunità a scuola riducendo la varianza dei risultati fra le classi all’interno dello stesso istituto
  • L’opportunità di prevedere interventi strutturali e infrastrutturali nelle scuole dal momento che dalle analisi emerge come molto spesso, e in particolare al Sud, le scuole in forte difficoltà corrispondano a quelle strutturalmente dissestate
  • L’importanza di investire nelle cosiddette non cognitive skills quelle competenze trasversali e umane che sono fondamentali per vivere, lavorare, avere relazioni e che impattano anche sulle cognitive skills perché fanno sì che gli studenti imparino ad imparare

Un ruolo chiave lo giocano poi le buone pratiche già esistenti.

L’alleanza tra le buone pratiche e le scuole in difficoltà

I buoni risultati ottenuti in alcune scuole sugli esiti degli studenti, a parità di caratteristiche, sono un patrimonio di tutti.

Per questo si pensa di associare una scuola virtuosa a una scuola in difficoltà per favorire la circolazione delle prassi didattiche migliori.

Il Ministero incentiva la promozione di strategie didattiche e progetti di formazioni efficaci anche ad esempio raccogliendoli in un ventaglio di proposte all’interno del quale ogni scuola potrà andare a cercare per individuare quella più idonea alla propria realtà.

Anche la rete avrà un compito rilevante: supportare la creazione di questi spazi di condivisione e di conoscenza. 

L’integrazione attraverso internet e infrastrutture digitali di tutti gli strumenti di analisi a disposizione delle scuole sono certamente di supporto per gli istituti scolastici.

Va in questa direzione l’idea di rendere disponibile il patrimonio di informazioni che scaturisce dalla collaborazione di Ministero dell’istruzione, INVALSI e ISTAT ma anche Regioni e altre Istituzioni coinvolte.

Sarà raccolto in un Cruscotto unico, accessibile grazie all’impresa sociale Con i Bambini, su piattaforma informatica nell’ambito dell’Osservatorio sulla Povertà Educativa Minorile.

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